Casa Editrice: Fazi Editore
Pagine: 352
Prezzo: 18.50 € (cartaceo) - 9.99€ (ebook)
Nella sua prima traduzione italiana, Due settimane in settembre è un vero e proprio toccasana: una lettura in grado di sollevare lo spirito, dalla quale non si può che uscire con il sorriso sulle labbra. Bestseller all’epoca della pubblicazione, oggi riscoperto ed elogiato a livello internazionale, è un romanzo straordinario che celebra i piccoli piaceri della vita ordinaria.
"Sapeva che il tempo scorre in maniera uniforme solo sulle lancette dell'orologio: per gli uomini può adattarsi e quasi fermarsi del tutto, accellerare precipitosamente, saltare baratri e poi rallentare di nuovo. Sapeva, con un po' di tristezza, che alla fine il tempo recuperava sempre la distanza"
Due settimane di settembre
è un romanzo dello scrittore e sceneggiatore inglese Robet Cedric Sherrif,
celebre per la sua opera Journey's End (Il grande viaggio),
da cui recentemente è stato tratto anche un film con, tra gli altri, Sam Clafin
e il Morfeo di Sandman, Tom Sturridge. Arrivato per la prima volta nelle
librerie italiane il 13 di Settembre per Fazi editore, che ringrazio per la
copia digitale in anteprima, il romanzo è ambientato negli anni che separano i
due conflitti mondiali e parla di una famiglia della medio borghesia inglese,
gli Stevens, che ogni anno in settembre si recano per due settimane a Bognor
Regis, cittadina marittima del West Sussex.
L’idea del romanzo è nata proprio durante una vacanza dello stesso scrittore a
Bognor, quasi per caso: lo stesso Sheriff ci racconta nella prefazione che non aveva
preparato alcuna scaletta e che neanche nel corso della scrittura neanche lui
sapeva cosa sarebbe successo. Un libro, dunque, nato quasi per caso, ma che fu
subito apprezzato sia dalla critica che dal pubblico.
Come suddetto, la trama è molto semplice: la famiglia Stevens, composta dai
genitori e i loro tre figli, vivono nella periferia non lontano da Londra e
ogni anno da più di vent’anni – ovvero da quando si sono sposati – visitano tutte
le estati Bognor, prendendo residenza nella pensione di Vistamare. Qui per due
settimane si lasciano i problemi e le preoccupazioni della vita di città per
dedicarsi a ciò che più li rende felici, siano queste lunghe passeggiate, una
buona pinta di birra a un pub o sorseggiare un buon bicchiere di porto mentre
ci si gode il silenzio.
Il romanzo inizia precisamente il giorno prima della partenza: nei primi capitoli, infatti,
troviamo gli Stevens presi dagli ultimi preparativi – preparare il pranzo al sacco,
avvisare il lattaio di lasciare mezza bottiglia di latte per il gatto, lasciare
il canarino alla vicina e tante altre piccole cose. Tutti sono emozionati in
maniera diversa e sin da subito si percepisce nell’aria quelle vibrazioni che
ognuno di noi ha provato prima di un viaggio: tutto deve essere in ordine, non
bisogna assolutamente dimenticare nulla, per non parlare poi dei mezzi di
trasporto. Pian piano iniziamo a conoscere questa famiglia e le sue abitudini:
il Signor Steven, che non si vuole mai far vedere debole e ama le passeggiate;
la Signora Stevens, piena di paura e che spesso vorrebbe evadere dalla routine;
Dick, secondogenito diciassettenne, che da un anno lavora in una ditta
londinese che detesta e vorrebbe di più, trovare una felicità e un appagamento
che sembra sfuggirgli nonostante l’indipendenza economica e l’età adulta che si
avvicina; Mary, la figlia maggiore, che si perde tra amicizie e amori estivi prima
di ritornare al suo lavoro a Londra; e infine Ernie, che incarna la
fanciullezza e la spensieratezza, unico che ancora riesce a godersi le vacanze
e il bello in ogni cosa.
Quello che mi ha colpito di più di questo libro è l’incomunicabilità che c’è
tra i personaggi: sebbene gli Stevens siano nel complesso una famiglia felice,
che si vuole genuinamente bene e riesce alla fine a trovare il lato positivo in
tutto, ci sono cose di cui non riescono a parlare. Dick, per esempio, non
riesce a parlare con il padre di quanto il suo lavoro lo renda infelice, troppo
intimorito al pensiero di deluderlo, di non essere più il figlio di cui può
andare fiero; ancora, la Signora Stevens non riesce a comunicare il suo
disperato bisogno di cambiamento, di una vacanza diversa, una che non le metta
perennemente ansia e disagio. Questi sono solo due esempi, ma il libro è piano
di momenti in cui la solitudine per me si affaccia prepotente sullo sfondo di
questa vacanza assolata e idilliaca.
Due settimane in settembre non è un libro in cui accadono grandi cose, come detto
prima è più un lungo resoconto di una vacanza e dei cambiamenti che il tempo
inevitabilmente porta con sé. E’ la storia di una famiglia come tante, che non
ha niente di più o di meno di altre, ma che allo stesso tempo affronta temi in cui
tutti noi possiamo bene o male immedesimarsi.
Sicuramente non è una lettura per tutti, ma io l’ho trovata estremamente
piacevole: lo stile di scrittura non risulta mai prolisso o barocco, è fluido e
semplice, garantendo a chi legge una lettura spedita.
Una gran bella scoperta, un titolo che consiglio a chi ama i romanzi famigliari
conditi con un pizzico di quella storicità tipica della prima metà del ‘900 che
rende tutto più bello.
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