Trama: "Questo libro è il risultato di un lavoro ostinato e creativo che ha
trasformato quasi tre anni di reclusione in resistenza e lotta. Questa è
la storia di Zehra Dogan, una attivista, giornalista e artista
contemporanea curda, condannata per un disegno e gettata nella prigione
numero 5 di Diyarbakir, nella Turchia orientale. Una prigione inscritta
nella storia del paese come un luogo di persecuzione, ma anche di
resistenza e di lotta del popolo curdo. Questi disegni, fatti uscire
clandestinamente dalla prigione numero 5, sono stati fatti da Zehra
Dogan nonostante la mancanza di materiale, sfidando muri e divieti. Come
può una prigione - nonostante gli sforzi per isolare e rompere queste
donne e questi uomini, nonostante pratiche umilianti e violente,
nonostante oppressioni e torture - diventare, grazie alla solidarietà e
al lavoro collettivo, un luogo di ricostruzione? Le idee non possono
essere prigioniere. Trovano la loro strada, scivolano dentro le fessure,
attraversano le finestre con le sbarre e le crepe dei muri. Evitano
agili il filo spinato. Raggiungono l'esterno della prigione come rami
d'edera. E alla fine, arrivano a noi."
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"Quando attaversi
la porta, se ti giri, incroci lo sguardo di quelle che restano. In un
istante, ti senti ferita, come l'uccello la cui ala si è impigliata nel
filo spinato. Nè del tutto libera, nè più prigioniera. Dopo tutto, cos'è
la libertà?"
Portata in Italia dalla casa editrice torinese Beccogiallo, che ringrazio per la copia omaggio, Prigione numero 5 di Zehra Dogan è molto più di una semplice graphic novel: diario di una prigionia durata quasi tre anni, ma anche feroce e coraggioso atto di protesta, è soprattutto una preziosa testimonianza storica della resistenza di un popolo che, nel corso dei tanti decenni, non ha mai smesso di combattere contro le persecuzioni turche e che, anche oggi, continua a difendere la propria identità, quelle radici che periodicamente rischiano di essere sradicate per sempre.
Ed è proprio per un disegno pubblicato su Twitter e che fa il giro di mezzo mondo che Zehra viene condannata con l’accusa di propaganda terroristica, lei che oltre ad essere un’artista è prima di tutto è una giornalista e un attivista. I disegni sono anche quelli che, segretamente, realizza giorno dopo giorno tra le mura della sua prigione a Dyarbakir, nella Turchia Orientale, dietro buste da lettere e lettere ricevute dai suoi amici. Miracolosamente, le sue memorie raggiungono l’esterno del carcere senza essere intercettate e, grazie agli attivisti curdi, giungono fino a noi sotto forma di libro e vengono esposti in musei come la Tate Modern di Londra o il PAC di Milano.
Tra le pagine di quest’opera preziosa il lettore conosce la vita tra le sbarre del carcere di questa giovane donna (la Dogan è nata a Diyarbakir nel 1989), così come fa con quelle delle detenute che vivono insieme a lei in spazi angusti e claustrofobici, dove le condizioni di vita sono al degrado: ognuna di loro è un attivista, molte hanno imparato a combattere fin da ragazzine o hanno visto la loro casa bruciare e la famiglia distrutta; tra di loro ci sono madri, mogli, figlie, ma prima di ogni cosa queste donne sono curde.
E poi ci sono quelli venuti prima di loro, i tantissimi esponenti curdi (non se ne conosce il numero preciso) che sono caduti sotto il peso delle violenze dei militari, delle umiliazioni disumane e crudeli e delle percosse che li hanno sì portati alla morte, ma mai al piegarsi o rinnegare la propria identità.
Analizzando le singole pagine si nota immediatamente la velocità con cui i disegni sono fatti, la segretezza che questi si portano dietro e la scarsità dei materiali a disposizione: del carboncino, ma anche fondi di caffè e fango, avanzi di cibo e sangue mestruale. Il tratto è forte come la personalità della donna che li realizza, trasmette tutta la disperazione, la violenza, le ingiustizie subite; i soggetti urlano il loro dolore proprio come urlano quelli presenti nel famoso quadro “Guernica” di Pablo Picasso e, come questi ultimi, devono subire impotenti le violenze dei regimi e della guerra, di una Storia che sembra ripetersi ancora e ancora.
Zehra Dogan è riuscita a scappare da quella violenza, è oggi tra i 100 artisti più influenti al mondo secondo ArtReview, ma non per questo ha smesso di combattere per la sua identità di donna curda o di far sentire al mondo la sua voce.
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