Autrice: Tove Ditlevsen
Titolo: Infanzia
Casa Editrice: Fazi Editore
Pagine: 144
Prezzo: 14.25€ (cartaceo), 8.99€ (digitale)
Trama: Nella sua prima traduzione italiana Infanzia, il volume che
inaugura la trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen: tre romanzi
autobiografici riscoperti di recente e giustamente celebrati a livello
mondiale come capolavori.
La piccola Tove vive con i genitori e il
fratello maggiore in un quartiere operaio di Copenaghen. Il padre, uomo
schivo dalle simpatie socialiste, si barcamena passando da un impiego
saltuario all’altro. La madre è distante, irascibile e piena di
risentimento: non è facile prevedere i suoi stati d’animo e soddisfare i
suoi desideri. A scuola Tove si tiene in disparte, dentro di sé è
convinta di essere incapace di stabilire veri rapporti con i coetanei;
fa però amicizia con la selvaggia Ruth, una bambina del suo quartiere
che la inizia ai segreti degli adulti. Eppure anche con lei Tove indossa
una maschera, non si svela né all’amica né a nessun altro. La verità è
che desidera soltanto scrivere poesie: le custodisce in un album
gelosamente nascosto, soprattutto da quando il padre le ha detto che le
donne non possono essere scrittrici. Sempre più chiara, in Tove, è la
sensazione di trovarsi fuori posto: la sua capacità di osservazione,
lucida, inesorabile, ma al tempo stesso sensibilissima, le fa apparire
estranea l’infanzia che sta vivendo, come se fosse stata pensata per
un’altra bambina. Le sta stretta, quest’infanzia, eppure comincerà a
rimpiangerla nell’attimo stesso in cui se la lascerà alle spalle.
Tove Ditlevsen, impeccabile ritrattista di una femminilità punteggiata
di chiaroscuri, ci ha generosamente aperto le porte delle molte stanze
da lei abitate negli anni, lasciandoci delle pagine indimenticabili,
destinate a restare.
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Esce oggi per Fazi editori, che rigrazio per la copia in anteprima, Infanzia
di Tove Ditlevsen, prima parte della Trilogia di Copenaghen che ripercorre la vita della scrittrice e
poetessa danese del secolo scorso.
Nata nel 1917, la Ditlevsen è
una delle autrici più conosciute e apprezzate in Danimarca; al
contrario, è ancora poco conosciuta (per non dire inedita) in Italia,
così come lo è la sua storia. Tove non ha avuto una vita facile - è
morta suicida nel 1976, dopo anni passati tra manicomi e abusi di alcool
e droghe – così come non è stata semplice la sua infanzia: la piccola
Tove, infatti, vive a Vesterbro, quartiere proletario della capitale
danese, con il padre operaio e socialista, la madre distante e piena di
rimpianti e il fratello maggiore Edvin, unico a leggere le sue poesie e
con il quale ha un rapporto di odio e amore.
La nostra
protagonista è una bambina silenziosa, che parla poco e mai a
sproposito; finge di essere stupida sia dentro che fuori le mura
domestiche, perché l’intelligenza e la cultura non si addicono alle
donne, così come non è per le donne la poesia. Suo padre glielo ripete
sempre, lui che è un fervente socialista e si batte per dei valori che
spesso sono causa del suo licenziamento; lo ripete anche sua madre, che
non sopporta la sua infanzia e non è disposta a investire sulla sua
istruzione, non per lei che ha un solo scopo nella vita: sposarsi e
mettere su famiglia.
Eppure Tove scrive, scrive in segreto, su di un
quadernino che nasconde alla vista di tutti e dal quale non si separa
mai: le sue poesie parlano di un amore ancora sconosciuto, di sentimenti
universali, che spesso spaventano; le sue poesie parlano di tutto
quello che la sua vita ancora non è, ma che un giorno potrebbe
diventare.
L’Infanzia di Tove è una gabbia o, come la chiama lei, una “stretta bara, dalla quale non si può uscirne da soli o sfuggire”. E poi ha un odore tutto suo, anzi puzza proprio: “la si sente sugli altri bambini, e ognuna ha un aroma tutto suo. Nessuno sente il proprio, perciò a volte si ha paura che sia peggiore di quello altrui”.
L’unica speranza della protagonista/autrice è solo quella di uscire indenne da questa condizione resa ancora più difficile dalla povertà che la circonda: Vesterbo, infatti, è un quartiere spietato, dove la gente non vive, ma sopravvive; tutto è statico e grigio, immutato negli anni, e i suoi abitanti sono ombre che strisciano tra i palazzi, vittime della loro stessa alienazione.
Mi è piaciuto moltissimo lo stile di scrittura, sempre così realistico, crudo e alle volte anche spietato. La Ditlevsen non si risparmia e non ci risparmia nulla: il lettore viene catapultato di prepotenza nel suo mondo, nella sua vita e ne tocca con mano ogni aspetto, tanto che in alcuni momenti ne si è sopraffatti, ingurgitati da questa esistenza fatta di attesa e noia. Infanzia è solo apparentemente un piccolo libro – sono appena 150 pagine – ma in verità nasconde una storia che lascia senza fiato e allo stesso tempo curiosi di scoprirne ancora, di andare avanti. Se questo è solo il preludio della sua vita, c’è da chiedersi cosa riserva il futuro, gli altri due libri che andranno a completare questa trilogia: io non vedo l’ora di leggerli.
VOTO FINALE: 4/5🌟
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